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La
valutazione del merito degli insegnanti nella legge de “La buona scuola”:
una
storia italiana.
Signora Ministro
Giannini, quella
che sto per raccontarLe è una storia di fantasia, ambientata in una delle
tante scuole italiane. Gli attori sono tre insegnanti che condividono nella
stessa classe l’entusiasmante e faticosa esperienza dell’insegnamento/apprendimento
affrontando una situazione particolarmente spinosa, aiutandosi reciprocamente
nei momenti di difficoltà. Tutto bene? Non proprio. Perché è appena entrata
in vigore la legge sulla cosiddetta “Buona scuola”, legittima sotto il
profilo giuridico, ingiusta sotto il profilo degli effetti nefasti prodotti
nell’azione insegnante, soprattutto in relazione ai benefici che potranno
ricavare gli alunni dalla sua applicazione. Una storia difficile da
raccontare, che vorrei rappresentarLe per quadri temporali.
La cronaca del tempo presente:
Francesca lavora
in una classe della scuola primaria con un bambino dotato di grandi
potenzialità intellettive ed un comportamento oppositivo/provocatorio. Dal
primo giorno di scuola ha messo alla prova le competenze professionali di
Francesca e delle sue colleghe, Giovanna e Valeria. Tre professionalità, due
in organico su posto normale, un' insegnante di sostegno. Peccato che la classe
sia composta da altre 24 bambine e bambini, dei quali uno disabile, che
avrebbero diritto ad analoghe attenzioni, attualmente un po’ sacrificate. Le
difficoltà sono tante, l’impegno richiesto anche. Ma tra colleghe ci si
aiuta, non si lascia nessuno ad affondare in mezzo ai problemi. Si chiama
lavoro di squadra. Professionalità diverse per formazione si amalgamano e si
rinforzano vicendevolmente per garantire un servizio scolastico al meglio
delle possibilità. Almeno, questa è la filosofia alla base del lavoro di
insegnanti fino ad oggi… anzi, no, fino a ieri.
La
cronaca dal tempo futuro:
provo ora a fare un esercizio un po’ bislacco, trasportare la situazione
appena descritta in un tempo futuro, caratterizzato dalla legge di riforma
della scuola da poco approvata, che pone alla base della valorizzazione di chi
lavora l’adozione di criteri per decidere chi sia da premiare e chi no. La
situazione è sempre la stessa, un bambino speciale con richieste di
attenzioni speciali, due insegnanti di posto comune, un insegnante di
sostegno, una classe di 25 alunni. Ma la dinamica potrebbe essere molto
diversa dalla cronaca del tempo presente appena descritta, perché le tre
insegnanti in questo caso non formano più un team che amalgama le risorse
individuali, ma diventano concorrenti, trasformando gli alunni in strumenti
per vedersi assegnato il premio. Detto in altri termini vorrebbe dire che
Francesca, insegnante della classe X, potrebbe trovarsi a sperare che la
qualità del lavoro delle sue colleghe sia inferiore alla propria, ed
altrettanto potrebbero fare Giovanna e Valeria… Vedo già il commento
infastidito di qualcuno che mi rimbrotta, perchè uno dei criteri per essere
premiati potrebbe essere proprio lavorare in squadra, ed ecco salvaguardata,
per magia, la pratica del lavoro in team. Già, potrebbe. Almeno per il lavoro
nella singola classe. Ma è presente un tranello. Perché in questo caso la
gara per accaparrarsi il premio si sposterebbe dalla competizione fra
insegnanti della stessa classe alla competizione tra le classi, dove la
speranza, ancora una volta, sarebbe che le colleghe della classe accanto
lavorino meno bene della loro. Con buona pace delle riunioni di interclasse,
di interplesso, dei dipartimenti, dei progetti comuni, dove qualcosa
suggerisce che sarebbe improbabile vedere insegnanti/concorrenti mettere a
disposizione di altri soluzioni utili all’assegnazione del premio. “Ma
questo non capiterà mai”, potrebbe ancora indignarsi qualcuno, “le
regole saranno stringenti e formali”. Piano, con calma, non così di
fretta. Le nostre realtà scolastiche hanno insegnato che qualsiasi regola
può essere elusa proprio a causa del suo essere stringente e formale. Voglio
spiegare meglio quanto espresso con un’altra cronaca, non ipotetica ma
reale, nel senso che qualsiasi collega può ritrovarla frugando all’interno
della propria storia professionale;
La cronaca dal tempo passato:
ultimo giorno di contrattazione sindacale per la destinazione del fondo di
istituto, il piccolo
“tesoretto” messo a disposizione annualmente dal Ministero
all'Istruzione delle singole istituzioni scolastiche per finanziare i progetti
speciali. Vengono esaminate le richieste pervenute per cogliere la congruità
economica rispetto agli scopi dichiarati. Uno di questi, battezzato dall’autrice,
della scuola primaria, “L’esperienza generatrice”, chiede un
finanziamento da distribuire in modo proporzionale tra la scuola primaria e la
scuola dell’infanzia. Nel vederlo, e leggerne i contenuti, il rappresentante
sindacale impegnato nella contrattazione, della scuola dell’infanzia, fa un’espressione
stralunata. Il dirigente chiede il motivo, e si sente rispondere che gli
insegnanti della scuola dell’infanzia quel progetto non lo hanno mai visto.
Il dirigente chiama l’autrice del progetto al telefono, ne chiede
spiegazione, chiede se le colleghe della scuola dell’infanzia ne siano a
conoscenza. Mentre ascolta la risposta fa cenno di no con il capo, tutti i
presenti scoppiano in una risata. E lui, rivolgendosi all’autrice del
progetto, “Sa, signora, sarebbe il caso ne parlasse con le sue colleghe
della scuola dell’infanzia”. Conclude la conversazione, e rassicura
che l’autrice del progetto parlerà con le colleghe della scuola dell’infanzia.
Il motivo del… pasticcio, sta tutto in una delibera vincolante e stringente
del Collegio dei docenti che adottava come asse portante del Piano dell’Offerta
Formativa di quell’istituto comprensivo la continuità verticale, quella tra
ordini di scuola diversi. Come da italiana memoria, fatta la legge, emanato il
provvedimento vincolante, l'autrice del progetto “L'esperienza generatrice”
ha individuato la strada per utilizzare a proprio beneficio una parte del
fondo di istituto, anche a costo di dichiarare un accordo mai stipulato.
Criteri di valutazione, tabelle, istogrammi. Una conclusione
provvisoria
In questa storia italiana,
tra qualche giorno, noi insegnanti ci troveremo ad un bivio importante. La
scelta dovrà essere se continuare a lavorare con i colleghi e le colleghe o
contro di loro. Se considerare gli alunni beneficiari del nostro servizio o
strumenti attraverso i quali rimpinguare i nostri stipendi. Se lavorare
considerando il nostro impegno il frutto di una comunità che, come da
definizione, mette “in comune” la dote dei singoli per diventare
sotto il profilo professionale tutti un po’ più ricchi, o lavoratori che
guardano con sospetto al lavoro degli altri, ben attenti comunque a non fare
trasparire quanto si sa fare per paura di esserne derubati e venire esclusi
dalla rosa dei vincitori del premio in palio. E' anche possibile sia presente
tra noi insegnanti chi, per “partire avvantaggiato” sulla linea
di partenza, stia prendendo d'assalto i social network, Internet, per
scaricare i progetti più suggestivi da utilizzare attraverso la mediocre
pratica del “copia e incolla”, pronto a buttarli sul piatto delle
competenze personali da fare valutare per i propri legittimi obiettivi
economici. E’ a tutto questo che, personalmente, mi sento di affermare “Io
non ci sto, me ne tiro fuori”. Perché voglio continuare a considerare
i colleghi alleati contro una cattiva scuola oggi, ed una cattiva società
domani, anziché concorrenti ai quali sottrarre pochi spiccioli; ad avere come
riferimento i diritti delle bambine e dei bambini quotidianamente affidatimi
anziché il mio stipendio da incrementare con una collana di parole che
raccontano le meraviglie realizzate dagli alunni attraverso la mia guida, ma
ben attento a nascondere le difficoltà che non riescono ad affrontare.
A questa pratica, fatta di
Rapporti di autovalutazione, di eterovalutazione, di extravalutazione, voglio
rispondere con una “poesia”
consegnata a noi insegnanti da una mamma ed un babbo dopo tre anni di lavoro
con la loro figlia.
“Ai miei
cari maestri.
L’asilo è terminato
Ed ora mi accomiato
Dai maestri tanto cari
Che, con pazienza senza pari,
tanto tempo han dedicato,
tante cose insegnato,
sopportato i miei capricci
e i successi acclamato.
Grazie, grazie,
tante cose ora so fare
ed il mio naso anche soffiare.
Un abbraccio affettuoso
Mentre volo via, conservando
Nel mio cuore
Il ricordo del vostro amore !!!
Giovanna
(nome di
fantasia, bambina reale)”
Con parole semplici ed un
po’ arcaiche, affatto didattiche, tecniche o tecnologiche, quei genitori
hanno ringraziato me e la mia collega per avere insegnato alla loro figlia
nuovi saperi e fatto acquisire nuove competenze senza mai dimenticare che
avevamo in custodia il loro tesoro più caro, una Persona da rispettare. Noi
insegnanti alle loro aspettative abbiamo risposto insieme, senza premi da
conquistare, senza colleghe da superare attraverso l'utilizzo di improbabili
criteri di valutazione, lavorando sempre con e mai contro. Per cui, signor
Ministro, se proprio vuole con i suoi valutatori capire come lavoriamo noi
insegnanti, venga pure a trovarci a scuola quando più Le aggrada. Troverà
sempre le porte aperte. Chissà che in quell’occasione non abbia la
possibilità di imparare qualcosa di nuovo sul faticoso ed entusiasmante
lavoro svolto quotidianamente, in silenzio, dalla maggior parte degli
insegnanti di tutti gli ordini e gradi scolastici con le bambine ed i bambini,
le ragazze ed i ragazzi, che ci vengono quotidianamente affidati. Chissà che
una volta per tutte possa imparare anche Lei, insieme ai Suoi consiglieri, a
riconoscerci lo stesso rispetto e gratitudine manifestato con semplicità
attraverso la loro poesia dai genitori di Giovanna.
Confido coglierà le ragioni che mi hanno spinto a scriverLe questa lunga
missiva.
Gianni Dessanti
Insegnante
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