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Dopo il voto della legge
sulla scuola al Senato:
"La forza della
Ragione,
Le ragioni della Forza,
Le ragioni del Cuore."
Lettera aperta al
Senatore Miguel Gotor
Senatore
Gotor,
alla fine,
dunque, siete arrivati fino in fondo, avete portato a compimento quello che
nessuno di noi insegnanti riteneva possibile. Siete riusciti là dove nemmeno
il peggiore dei governi di destra era arrivato. La decretazione della fine
della scuola libera, statale, laica, democratica, per trasformarla nella
scuola di stato, del capo, che decide, seppure con qualche insignificante
contrappeso, chi è meritevole e chi no, chi sia da prendere in considerazione
per i premi da elargire e chi lasciato ai margini. Un dirigente che sfogliando
il catalogo Postal Market degli Albi territoriali sceglie gli insegnanti utili
alla scuola da lui diretta e lascia gli altri alla mercé di un meccanismo che
prevede possano vagare, per decreto, sull'intero territorio nazionale fino a
quando qualcuno impietosito non decida di dare loro sistemazione. Un
tradimento. Uguale a quelli che avvengono in amore tra due persone che per un
certo tempo hanno condiviso umori, valori, finalità. “Finché morte non vi
separi”, dicono le formule tradizionali. “Finché qualcuno non vi
assassini”, dicono le cronache dei commissariati. Perché di questo poi si
tratta. Di un assassinio. Tanti mesi di interlocuzioni, promesse, smentite,
ricatti, soprattutto quando il Presidente del consiglio, il vostro capo, ha
deciso che le assunzioni di insegnanti, spesso spremuti per decenni dal
sistema scolastico, siano vincolate all'accettazione dell'intero sballato
pacchetto di quella che, con fare un po' rozzo ed approssimativo, avete
chiamato riforma, per di più anche buona.
Ed allora,
poiché sono consapevole che potrebbe faticare a cogliere il senso di
smarrimento che noi insegnanti e la scuola tutta stiamo attraversando, farò a
Suo beneficio una breve e triste cronistoria di questi ultimi mesi disgraziati
che hanno segnato uno spartiacque, forse definitivo, tra voi che avete deciso
a dispetto del buon senso di approvare questa legge, e noi che abbiamo subito
le vostre decisioni. Ed "inizierò dall'inizio", come direbbe
qualcuno dei nostri studenti, da quando, a partire dal disegno chiamato
enfaticamente "La buona scuola", è stato detto senza mezzi termini,
corredandolo di schemi esemplificativi e tabelle, che la carriera docente non
esisteva più, e gli avanzamenti stipendiali non sarebbero stati decisi da
regole certe, ma conseguenti al delirio di un tutti contro tutti tra
insegnanti che avrebbero dovuto fare a gara in ossequio al capo di turno,
rigidamente predefinita in termini percentuali, i tristemente famosi due terzi
contro un terzo. Doveva essere, secondo il Presidente/Segretario Matteo Renzi,
un punto qualificante della sua buona scuola. In realtà si trattava di un
guazzabuglio senza capo ne' coda di affermazioni a tratti surreali al cui
confronto il totocalcio si ergeva a sistema geniale ed irrinunciabile. E'
vero. Alla fine quel delirio è stato definitivamente archiviato nell'angolo
che gli era proprio, quello delle allucinazioni, peraltro avute senza nemmeno
l'assunzione di droghe che potevano esserne la causa. Ma per chi ha avuto
quella bella pensata non si è trattato di una rinuncia né facile né
immediata. Per noi insegnanti poi è stato un incubo dal quale con fatica ci
siamo risvegliati, e che per mesi ha popolato ed assorbito gran parte delle
nostre energie diurne e notturne, soprattutto quando ci chiedevamo dove fosse
la ratio nelle affermazioni profuse in gran quantità da parte del
nostro malgrado presidente del consiglio. Tutto bene, dunque? Nemmeno per
idea. Perché subito dopo siamo stati investiti dal delirio di onnipotenza di
un signore che si è anche messo alla lavagna per spiegarci la lezione sulla
nuova scuola, senza nemmeno riuscire a distinguere la differenza tra un
sostantivo ed un aggettivo (Umanista anziché Umanistica), roba da ridere e da
avanspettacolo, se non fosse che parlava del futuro del più importante
sistema dello Stato (sono parole pronunciate a più riprese da lui stesso, da
Matteo Renzi, non da una persona insignificante come me che, senza pretese, si
limita a voler continuare a fare l’insegnante all’interno di regole
certe). E via di seguito, con il codazzo di grandi esperti produttori di
suggerimenti per raggiungere la meta: il sottosegretario all’Istruzione
Faraone, che dall’alto della sua esperienza di consigliere comunale di
Palermo, dove si è occupato prevalentemente della tassa sulla mondezza, ha
affermato a Reggio Calabria il 17 aprile: se il dirigente sbaglia sono
problemi suoi (del dirigente); la responsabile scuola del PD, Francesca
Puglisi, forte della sua esperienza di marketing aziendale, che pontificava e
continua a pontificare il peggio del peggio sulla scuola del futuro. Infine
gli incontri a Sassari promossi dal PD locale, al quale va dato atto di avere
permesso a noi insegnanti, disperati per essere sentiti ma non ascoltati, di
poter incontrare i nostri rappresentanti istituzionali: Caterina Pes, Anna
Sanna, Silvio Lai, per due volte, ed infine anche Lei, Senatore Gotor. In
quell'occasione un collega, dopo il Suo arrivo, accolto con grandi
aspettative, scrisse su facebook un commento irriverente, diventato
fonte di discussioni non proprio serene, che suonava così: “Il senatore
Gotor è sbarcato a Sassari per spiegarci il DDL sulla scuola”. In realtà
io e quanti credevamo in Lei, dal Suo intervento avevamo capito avesse una
grande determinazione su alcuni punti irrinunciabili, dal Dirigente
pilastro/padrone della scuola alla chiamata di noi insegnanti dagli albi in
assenza di regole certe, senza la rimozione dei quali affermò che
“verosimilmente”, nel caso fosse stata messa la fiducia, non avrebbe
votato a favore. Mi era sfuggito il significato profondo del
“verosimilmente” (forse che si, forse che no). Ha chiesto a noi insegnanti
presenti in quella sala, a Sassari, di “tenere alta la palla della
protesta”. Il resto è cronaca dolorosa: il dirigente/sceriffo (orribile
definizione, ma ne spiega bene il senso): rimasto; gli albi territoriali:
rimasti, anzi, peggiorati attraverso la modifica che costringe anche noi
insegnanti di ruolo, se dal 2016 diventassimo perdenti posto, e quelli
inseriti per la prima volta al loro interno, a presentare domanda di
assegnazione in tutte le province del territorio italiano, tanto noi siamo
macchinari da spostare in qua e in la da imprese in fase di ristrutturazione,
mica persone portatrici di un qualsiasi diritto. Infine le deleghe in bianco
affidate al governo in carica, delle quali per prudenza non ha parlato in
occasione dell’incontro a Sassari, troppe e troppo devastanti per poterle
elencare tutte.
Siamo
arrivati al voto di fiducia al Senato, al cui riguardo nel Suo intervento a
Sassari ha affermato di volere organizzare la battaglia. Temo che su questo
termine utilizziamo vocabolari della lingua italiana di edizioni diverse,
perché nel mio vocabolario il termine battaglia ha un significato distante
dal Suo. Ed anche di quello dell’Onorevole Stefano Fassina, che dopo aver
capito il disastro che il PD stava preparando per la scuola ha fatto, quasi in
solitudine, quanto era nelle sue possibilità per porre freno all’obbrobrio,
tenendo alta la bandiera della forza (e dei motivi) della ragione senza
piegarsi ad una più accomodante ragione della forza, quella esercitata con
arroganza dal segretario del PD. Perché Lei, senatore Gotor, in occasione del
voto di fiducia della legge sulla scuola, dopo avere con onestà intellettuale
riconosciuto che era impropria e non faceva parte del programma elettorale del
Partito Democratico, quella fiducia l’ha votata in blocco. Naturalmente
nulla rispetto ad altri senatori i quali, per non prendere posizione, hanno
fatto anche di peggio, andando a nascondersi in qualche remoto recesso delle
stanze del Senato.
Dalla forza
della ragione di chi la scuola la conosce in tutte le sfumature, sconfitta
dalla ragione della forza esercitata da persone che la scuola la vivono solo
nelle chiacchiere vacue, discendono le ragioni del cuore di noi insegnanti,
quelle degli amanti traditi ed abbandonati. Quando finisce un amore, quando
manca la sintonia tra due amanti, non è raro termini tutto con rancore.
Personalmente cerco sempre, anche nelle mie vicende private, di mantenere una
certa lucidità, un certo distacco. E’ quanto con fatica sto provando a fare
anche in questa occasione. E colgo che il Partito Democratico, votato da me e
da tante colleghe e colleghi alle ultime elezioni, ha fatto la sua scelta:
poteva decidere di ascoltare noi insegnanti che con la scuola abbiamo, mi
scuserà chi la pensa in modo diverso, una certa confidenza. Poteva scegliere
di salvare la Carta Costituzionale, che con l’articolo 33 ricorda a tutti
che la scuola statale è la scelta migliore perché è la scuola di tutti,
oltre al migliore antidoto contro il trionfo dell'ideologia, qualsiasi
ideologia, autoritaria. Chi ha votato questa legge ha considerato questi
argomenti irrilevanti, ha tradito il mandato elettorale che gli avevamo
consegnato, si è accontentato, in alcuni casi con dolore, ma si è
accontentato, di una scuola di Stato, quella di un uomo solo al comando che
dice ai dirigenti “Fate voi, ma fate bene, perché io vi controllo, ed ogni
tre anni vi giudico, e se sbagliate sono problemi vostri” (Faraone dixit).
Chi ha votato quell’abominio, infine, poteva fare molte altre cose che
avessero come motivo comune il diritto se non il rispetto per quanti ogni
giorno mandano avanti le nostre scuole, spesso attraverso l’utilizzo di
strumentazioni e mezzi propri, ma ha preferito assecondare il potere di un
uomo votato da nessun elettore per il ruolo che sta ricoprendo. Divorziando da
noi insegnanti, attraverso l’approvazione di questa legge, il PD ha deciso
di guardare altrove e considerarci un intralcio, forse anche una inutile
zavorra che se protesta, come richiesto dal suo collega Rondolino, deve essere
“riempito di botte dalla polizia”, oppure denunciato, come sembra stia per
capitare ad una collega precaria plurititolata, per non essere riuscita a
trattenere la disperazione nel luogo sacro del Senato quando ha capito che i
suoi eletti avrebbero devastato la propria vita sull’altare della
“disciplina di partito”.
Senatore
Gotor, vado a concludere. A questo punto, dopo la scelta da lei fatta insieme
ai suoi colleghi al Senato, avete mandato un segnale forte e chiaro a noi
insegnanti: “Non proviamo più attrazione per voi”. Per questo motivo
anche noi ci sentiamo, ora, liberi dal vincolo nei vostri confronti. E saremo
pronti ad accogliere, quando si presenterà, in futuro, un nuovo amore,
diverso dal vostro.
Confido nel
fatto che coglierà le ragioni che mi hanno spinto a scriverle questa lettera.
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